mercoledì 7 settembre 2011

SCIOPERO CGIL A SALERNO : NOI oppure tanti IO ?


Ieri mattina Salerno è stata bloccata dallo sciopero della CGIL che manifestava per rivendicare il diritto di qualificare la manovra finanziaria di Berlusconi iniqua ed inconsistente. Non entro nel merito della diatriba “ sciopero Sì o sciopero No “, ma voglio condividere una riflessione che mi è venuta guardando i partecipanti. Nel corteo manifestavano diversi gruppi : il principale che per comodità definiremo “sindacalizzato”, diciamo coloro che ci credono; poi un gruppo antiberlusconiano a prescindere , definibile “ ideologico” ed un gruppo misto di precari, co.co.co, co.co.pro., di società miste, della scuola, di enti regionali, del settore privato. Quest’ultimo è la rappresentazione sintomatica della patologia della lotta “ DI CLASSI “ che rischia di minare la bontà delle finalità della lotta sindacale tout-court, neutralizzando la cultura e lo spirito di classe. Vi riporto delle riflessioni di Alain de Benoist sull’argomento: “A scomparire non sono state le classi sociali, ma la cultura di classe e lo spirito di classe. Il “genio” del capitalismo moderno è consistito nel frammentare tutte le categorie sociali “pericolose” attraverso nuove divisioni, per lui inoffensive. (…) Anche l’individualizzazione dei comportamenti e la crisi generalizzata delle strutture istituzionali (partiti, sindacati, chiese) svolgono però un loro ruolo. Nessuno ragiona più in funzione di un progetto collettivo che interessi la società globale. Le infermiere, gli insegnanti, i precari manifestano per difendere le proprie condizioni di lavoro, ma la loro protesta non si estende mai ai lavoratori in generale. Manifestano esclusivamente per se stessi e smettono di mobilitarsi nel momento stesso in cui le loro rivendicazioni sono state più o meno soddisfatte. Anche i salariati vittime di un licenziamento arbitrario, di una delocalizzazione selvaggia o di un fallimento si mobilitano in maniera puntuale, senza mai manifestare solidarietà con il mondo del lavoro in generale ed a dismettere la protesta ad accordo raggiunto.”

Lo scontento non evolve in rivoluzione perché le vittime non sono un gruppo unitario neppure nella coscienza infelice.

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