150 ANNI D’UNITA’ D’ITALIA: E LI CHIAMARONO …BRIGANTI.
L'Unità d'Italia fu perseguita e conseguita - ha detto il Capo dello Stato nell'intervento a Genova, 'Per l'Unità d'Italia. Verso il 150° anniversario della fondazione dello Stato nazionale' - attraverso la confluenza di diverse visioni, strategie e tattiche, la combinazione di trame diplomatiche, iniziative politiche e azioni militari, l'intreccio di componenti moderate e componenti democratico rivoluzionarie. Fu davvero una combinazione prodigiosa, che risultò vincente perché più forte delle tensioni anche aspre che l'attraversarono".
Ma questa è la storiografia ufficiale che ha sempre nascosto la verità su come sia stata raggiunta l’unità d’Italia, invece sarebbe ora che, cominciando dalle scuole, si portasse a conoscenza “la storia dalla parte dei vinti” e si trasgredisse all’incipit secolare che la storia la scrivono , come nel nostro caso i piemontesi.
Un passo avanti per la cultura italiana ed un riflesso che renderebbe più comprensibile il divario tra nord e sud che oggi sempre più sentito, rendendo merito alla memoria degli uomini che hanno lottato, durante l’unità, affinché il processo di unificazione non fosse un processo d’invasione.
Ma così non fu e si sviluppo il brigantaggio come fenomeno d’INSORGENZA. E' proprio da qui che inizia la vera storia. Il meridione, fu conquistato con le angherie degli "invasori", contro un popolo che nutriva amore per il fuggitivo Re Francesco II, per la nascita di nuove tasse , imponendo leggi e costumi che nulla aveva a che fare con le tradizioni locali. L'unità fu una guerra civile dalla violenza inaudita (si parla di oltre 700.000 morti) che vedeva contrapposti i briganti, così definiti dall'invasore, meglio i PATRIOTI MERIDIONALI, all'esercito sabaudo. I Manzo, i Donatelli, i Crocco, i Tranchella e tanti altri riuscirono ad organizzare ed a guidare la resistenza del popolo del mezzogiorno, restistendo agli invasori con contadini, fattori, piccoli possidenti e nobili del luogo. Essi, non disponevano di armi e solo alcuni di loro erano addestrati ad una disciplina militare; il loro è un movimento spontaneo che contava su risorse finanziarie molto scarse, animato essenzialmente dalla volontà di difendere il proprio mondo dalle razzie, stupri, incendi,soprusi degli “unitari”. L’annessione del meridione fu segnata da atrocità che l'esercito piemontese perpetrò nei confronti delle popolazioni meridionali attraverso eccidi di massa, compiuti in nome del diritto di rappresaglia e la decapitazione di alcuni briganti, le cui teste furono messe in mostra a monito delle popolazioni locali. Una legge venne varata appositamente per coloro che insorgevano contro il nuovo ordine, la legge Pica, secondo cui era passibile di fucilazione immediata chiunque fosse accusato di aver complottato contro i piemontesi. La decisione veniva presa a totale discrezione delle autorità militari, anche in presenza di semplici indizi e senza alcuna prova concreta. Il fenomeno delle insorgenze antipiemontesi non divenne mai un vero e proprio moto insurrezionale con concrete possibilità di vittoria perché mancavano le risorse finanziarie che potessero garantire addestramento ed equipaggiamento necessari.
Da un diario di un ufficiale sabaudo: “Entrammo in un paese e subito incominciammo a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitavano...”. Pontelandolfo, paese del beneventano, fu letteralmente raso al suolo. Anche la storiografia corrente ha riconosciuto che la repressione contro il Brigantaggio ha fatto più vittime di tutte le altre guerre risorgimentali messe insieme.
Ma c'è di più, purtroppo... veri e propri campi di concentramento, il più temibile quello di Fenestrelle, fortezza situata a quasi duemila metri di altezza sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del Chisone, faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. Ufficiali, sottufficiali e soldati (tutti quei militari borbonici che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell'esercito sabaudo, tutti quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai piemontesi) subirono il trattamento più feroce. La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi venivano disciolti nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all'ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è visibile l'iscrizione: "Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce" (ricorda molto le scritte dei lager nazisti).
Già nel 1862 nel mese di ottobre, essendosi fatta insostenibile la sistemazione dei prigionieri di guerra e dei detenuti politici, con la deportazione degli abitanti d'interi paesi, con le "galere" piene fino all'inverosimile, il governo piemontese diede incarico al suo ambasciatore a Lisbona di sondare la disponibilità del governo portoghese a cedere un'isola disabitata dell'Oceano Atlantico, al fine di relegarvi l'ingombrante massa di molte migliaia di persone da eliminare definitivamente. L'aspetto più indecente di questa vicenda è che sullo sfondo c'è una storia di debiti di guerra (Cavour ne fece tre in dieci anni!) a cui si sommavano anche quelli per comprare proprio quei cannoni a canna rigata che permisero la vittoria sull'esercito borbonico. Il Piemonte era indebitato con Francia e Inghilterra ed il regno borbonico rappresentava una vera e propria miniera d'oro per la borghesia espansionistica piemontese e per gli affaristi internazionali. Le riserve auree del Regno delle Due Sicilie, (ben 500 milioni contro i 100 milioni dei piemontesi) avrebbero permesso di stampare carta moneta per circa tre miliardi: una vera e propria manna se a ciò si aggiungono le nuove tasse imposte ai 9 milioni di abitanti, i risparmi, le terre ed i beni sottratti alle autorità ecclesiali destinati allo sviluppo dell'agricoltura padana.
Tutto in nome dell'unità d'Italia. Nel 1861, infatti, si contavano soltanto 220mila italiani residenti all’estero; nel 1914 erano 6 milioni. È inquietante, se si pensa che la popolazione dell’ex Regno napoletano era composta da 8 milioni di persone. L’esercito sardo aveva avuto la propria vittoria, ma non così il regno d’Italia: i briganti non erano distrutti, avevano solo trovato un’altra forma di resistenza, l’emigrazione. Un caso curioso di repressione moderna è sul film del 1999 di Pasquale Squitieri dal titolo "Li chiamarono... briganti!" nel quale restituisce dignità e valore a quegli uomini ed a quelle donne del sud che scelsero di pagare con la propria vita l'amore per la propria terra, la famiglia, la patria e la fede. Un film che mette a nudo, per la prima volta, la realtà, ufficialmente mai riconosciuta come tale, di una precisa volontà di sterminio. E se questo film lo proiettassimo nelle scuole di Salerno visto che è stato tolto dal commercio perché giudicato politicamente scorretto?
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