In una Italia divisa dai regionalismi, dalle identità, dalle differenze reddituali e sociali, dalle religioni, dalla politica, dalle tifoserie calcistiche. Divia tra italiani e tra italiani e stranieri, e finanche tra i due leader salernitani - De Luca /Cirielli - ci si poteva aspettare una unitarietà d’interpretazione del 25 aprile? Certo che no. La festa non sarà unica fino a quando non si ammetterà la verità su via Rasella, sul macello crudele di già vinti e senz’armi. Se non si ammetterà la strage di Schio, dell’Ospedale psichiatrico di Vercelli , Codevigo, Mignagola, Costa d’oneglia e di Oderzo. Zone nelle quali sono morti familiari di fascisti senza responsabilità, giovani repubblichini a migliaia. E poi gli omicidi, tollerati dagli americani, di solitari di fascisti colpevoli di assassinio , ma anche innocenti con l’unica imputazione di professare la fede per il fascismo e di non averlo rinnegato. L'ignobile la mancanza del diritto alla sepoltura nei cimiteri ai giovani della RSI ed altre atrocità- in modo bipartisan - decritte da don Dario Zanini in Marzabotto e dintorni. L’altra storia, quella raccontata dai vincitori si conosce tutta e si riconosce nel 25 aprile, quella, diciamo in “camicia nera” fà fatica ad identificarvisi proprio per questi motivi. George L. Mosse – che di sicuro non può essere ritenuto un fascista – ha scritto nel libro Il Fascino del persecutore che la storia che deve essere raccontata è quella dei fatti, l'altra invece non può essere considerata storia ma cronaca di parte. Quest'ultima non aiuta a far comprendere che in una guerra soprattutto civile non ci sono vinti e vincitori , ma tutti sconfitti dagli eccessi d'incomprensione e dalla assenza di tollerenza. Il 25 aprile sarà la festa di tutti gli italiani quando si cercherà " (...) di dare valore ai sacrifici umani sostenuti durante il conflitto e non a utilizzarli per ideologie di parte(...).
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